2006-04-28
Animali Mitologici e luoghi curiosi cap. 01
Myocastor coypus, Molina 1782
Nutrie: da più di settant'anni presenti in Italia
ORIGINI DEL POPOLAMENTO E ATTUALE DISTRIBUZIONE IN ITALIA
Il nome volgare con il quale è conosciuta è Nutria o Castorino, nome che le deriva dal gergo commerciale utilizzato in pellicceria, quello scientifico Myocastor coypus. È un Roditore originario delle zone sub tropicali dell'Argentina e del Brasile meridionale, appartenente alla Famiglia Myocastoridae. Introdotta in diversi Paesi per la sua pelliccia sin dai primi del Novecento, il primo allevamento in Italia venne costituito nel 1921 in provincia di Alessandria. Fin dagli inizi l'allevamento delle nutrie ha riguardato piccole o piccolissime aziende a conduzione familiare, sparse in quasi tutte le nostre Regioni, che spinte da vane promesse economiche intraprendevano una difficile iniziativa zootecnica che finì presto per rivelarsi fallimentare (Maiocco, 1938; Santini, 1983; Scaramella & Motti, 1988). Intorno agli anni Ottanta, infatti, la richiesta di pellicce di castorino divenne sempre più bassa e la quasi totalità delle aziende fu costretta alla chiusura. Al fine di evitare il costoso smaltimento delle carcasse degli animali soppressi con eutanasia, moltissimi vennero rilasciati negli ambienti naturali. Dal 1970 si ebbero così le prime segnalazioni di nuclei introdotti (già nel 1930 in Louisiana - USA), prima localizzati nelle zone limitrofe agli ex allevamenti (p.e. Alto Po, Po Ferrarese, Fiume Ombrone, Lago Trasimeno, dintorni di Latina), poi lungo alcuni grandi fiumi della pianura padana, della costa tirrenica dalla Toscana alla Campania, della costa adriatica (Abruzzo). La sua diffusione non è stata rapida: sono stati necessari più di 70 anni per giungere all'attuale distribuzione e la colonizzazione è risultata, come ovvio, maggiormente evidente nelle aree antropizzate o più coltivate, rispetto alle zone naturali. (Toschi, 1965; Groppali, 1990; Benussi, 1990). Attualmente la sua presenza è attestata, per esempio, lungo il Po e gran parte dei suoi immissari, lungo la costa toscana dalla provincia di Firenze a Grosseto e in diverse aree laziali; nel resto d'Italia, sebbene presente in molte province, anche insulari, mostra distribuzione puntiforme e abbastanza discreta. Secondo la Legge sul prelievo venatorio (L.157/92) e secondo l'INFS qualsiasi nucleo di animali che sia insediato stabilmente in un territorio e' da ritenersi selvatico, quindi sottoposto alla L.157/92: in questo caso Myocastor coypus non è elencata fra le specie cacciabili (Prot.4020/t-A23, 15.11.1999; L.157/92 art.2).
MORFOLOGIA ED ECOLOGIA
Le caratteristiche corporee la fanno assomigliare ad un ratto gigante: la lunga coda cilindrica squamosa e con radi peli e la colorazione del mantello più frequente, bruno dorato o bruno scuro (ma si possono osservare esemplari albinotici con il mantello isabella o crema), le piccole orecchie, i grossi incisivi sporgenti di colore arancio ed i lunghi baffi argentati. In effetti, Myocastor coypus, appartiene al grande gruppo dei Roditori, ma molteplici particolari anatomici le distinguono e le rendono inconfondibili: come le zampe posteriori, che presentano una netta palmatura interdigitale e la posizione delle mammelle nelle femmine, latero-dorsali, caratteristiche tipiche di animali fortemente acquatici che crescono ed allevano la prole in acqua. Le dimensioni massime, nei vecchi maschi, non superano i 60 cm (coda esclusa) per un peso di 7-9 chili.
Le caratteristiche comportamentali note si riferiscono a studi effettuati nell'ambiente naturale originario. Negli ambienti di immissione, fortemente diversi dal punto di vista climatico e trofico, è probabile che i ritmi biologici subiscano modificazioni macroscopiche o microscopiche, ma ad oggi pochissimi sono gli studi e le conoscenze in merito, sebbene negli ultimi anni, soprattutto in altri Paesi d'Europa, siano apparse pubblicazioni riguardanti l'etologia e l'ecologia di questo animale. In Italia le poche ricerche sulla specie negli ambienti di rilascio si riducono ad una decina, numero che raddoppia se si considerano anche gli studi microbiologici. Anche le ricerche eco etologiche finalizzate a verificare un'eventuale interazione fra questa specie ed altre autoctone, al momento non hanno rilevato nulla di preoccupante. Ad esempio, il timore di interazione negativa fra nutria e lontra (Lutra lutra) - ove ovviamente sia ancora presente quest'ultima, il che esclude la provincia bresciana e la quasi totalità del nord Italia - al momento risulta molto bassa, se non addirittura non comprovata. Ciò in quanto le due specie occupano due nicchie trofiche opposte: la lontra è un Carnivoro, mentre la nutria è strettamente vegetariana, pertanto non esiste competizione fra loro per le risorse alimentari. Un eventuale problema può essere quello relativo all'occupazione degli stessi ambienti di vita, situazione dettata dalla scarsità di situazioni naturali che obbligano più specie alla convivenza. Essendo animale crepuscolare notturno la vista è poco sviluppata, il che rende la specie particolarmente timorosa e diffidente, generando la credenza che la sua reazione di difesa con soffio alle minacce, sia una dimostrazione di aggressività. in realtà non è per nulla aggressivo, tanto da essere diventato negli Stati Uniti un normale animale da compagnia. (Velatta & Ragni, 1991a, 1991b; Gariboldi, 1993; Reggiani et al., 1993; Reggiani et al., 1995; Ferri & Soccini, 2001) Si accoppia durante tutto l'anno ed ogni femmina può partorire due volte l'anno da 2 a 4 piccoli, dopo una gestazione che dura quasi 130 giorni. Nelle 24 ore successive alla nascita i piccoli seguono immediatamente la madre e si alimentano da soli dopo 3-4 settimane. Già a due mesi possono essere maturi sessualmente, ma di solito le femmine primipare o troppo giovani, come spesso accade nei mammiferi, abortiscono o partoriscono un solo piccolo. Nel caso di aumento eccessivo della popolazione il tasso riproduttivo si abbassa e il numero di piccoli per figliata diminuisce. Nel nostro Paese durante i mesi invernali con lunghi periodi gelidi la mortalità giovanile è quasi totale, ed anche molti adulti, soprattutto i maschi che sono maggiormente erratici, sono destinati a morire per necrosi e setticemie, intervenute per congelamento delle estremità. La vita di questi roditori è prevalentemente crepuscolare e notturna; gli ambienti preferiti sono quelli palustri.
La dieta è vegetariana e si basa su piante acquatiche ed alghe, nel periodo invernale anche di tuberi, rizomi e radici. Nel nostro Paese si è osservata una differenziazione nell'attività trofica tra nuclei insediati in territori fortemente coltivati (pianura padano veneta) e quelli di zone più naturali (zone costiere centro meridionali). I primi si trovano ovviamente costretti a muoversi anche attraverso i campi che circondano le vie d'acqua dove vivono e, per lo più, si spostano, generando così allarme fra gli agricoltori. I secondi pasturano quasi esclusivamente in alveo o sulle sponde, ed anche se si allontanano di qualche metro dall'acqua la loro presenza non viene rilevata. Nel caso frequente in cui le sponde dei corsi d'acqua siano spoglie e prive di vegetazione varia, gli animali sono portati a nutrirsi anche di germogli che si rinvengono nei dintorni: ovvero di mais (inverno e primavera) e del colletto superficiale delle barbabietole da zucchero (autunno). La vegetazione naturale preferita è la Tifa (rizomi e fusti), il Callitriche, la castagna d'acqua, le lenticchie d'acqua, in mancanza delle quali mangia steli florali e frutti di ninfee e nannufaro, germogli di cannuccia d'acqua, vallisneria, potamogeti e piante igrofile varie, vegetazione per lo più ormai assente nella maggior parte dei corsi d'acqua, grandi o piccoli, del nord Italia, a causa delle operazioni di scavo degli alvei, operate drasticamente con mezzi meccanici a fortissimo impatto ambientale. Il disturbo che Myocastor coypus arreca ad uccelli in cova è minore di quello generato dalla presenza antropica sulle stesse sponde di cui è già stato detto (agricoltori e mezzi meccanici, pescatori, gitanti, cacciatori, etc.). Le basse temperature e gli inverni rigidi e prolungati ne limitano drasticamente il numero, tanto che nei Paesi d'oltralpe la Nutria è elencata come fauna locale e la sua diffusione non viene temuta proprio per questo motivo (De Ciechi & Prigioni, 1997). In provincia di Brescia, non si hanno ancora stime di popolazione scientificamente rilevate e corrette; i metodi certi e riconosciuti implicano la marcatura, il rilascio degli animali e l'osservazione a lungo termine.
NEMICI NATURALI E NON
In Italia i piccoli e i giovani sono facili prede di diversi carnivori: Lupi, Volpi, Faine, Gatti selvatici, Linci e cani vaganti, Nibbi, Poiane, Gufi reali e Ardeidi come l'Airone cenerino, etc. Anche grossi pesci predatori come il Luccio e il Siluro possono catturarli. La competizione territoriale inoltre è elevata: i maschi pattugliano le proprie aree scacciando i giovani maschi e, nel caso, uccidendoli. La carenza di territorio e di risorse trofiche limitano l'espansione degli animali. Un importante fattore di controllo numerico della specie è rappresentato dagli inverni rigidi, che provocano una forte selezione numerica, come pure lunghi periodi siccitosi. La causa principale di morte è l'uccisione da parte dell'uomo, che avviene sia in forma accidentale durante l'attraversamento di strade trafficate (è un animale lento, goffo, con vista e udito poco sviluppati), sia attraverso la distribuzione di sostanze velenose (ratticidi, percolamento di agenti chimici per agricoltura nelle acque) o con metodi diretti. In Lombardia ne è stata decretata l'eradicazione (1993) e sono stati attivati interventi di cattura selettiva operata da personale altamente qualificato o emanate ordinanze sindacali per l'uccisione non selettiva ad opera di agricoltori o gruppi di cacciatori, ordinanze riconosciute illegali anche dall'INFS - (Prot.3502/T-A24, punto 6.2.4, 11.07.2000) -, che ricorda come i Sindaci possano intervenire in tal senso solo nel caso di comprovata pericolosità igienico sanitaria "cosa ancora tutta da comprovare per la Nutria", come recita la stessa INFS nello stesso documento (artt. 5.1 e 6.2.4) e come dimostrano ad oggi le ricerche di cui in bibliografia. Campagne di uccisione sono state attivate anche in altre Regioni senza sortire l'effetto previsto. L'eradicazione di una specie da un territorio vasto e senza barriere invalicabili (come invece si ha nelle isole) risulta, infatti, un tentativo vano, da considerarsi solo come ultima iniziativa dopo aver intrapreso tutti gli altri possibili e maggiormente fattibili piani di contenimento (IUCN).
ZOONOSI
Gli allarmismi diffusi periodicamente li additano come diffusori di zoonosi e tra esse della Leptospirosi. Analisi mirate effettuate in questi anni presso gli Istituti di Zooprofilassi su carcasse di Nutrie provenienti da uccisioni programmate o da investimento stradale hanno fatto emergere dati inequivocabili: la frequenza di positività sierodiagnostica alle diverse forme di Leptospire è risultata bassa e paragonabile a quella normalmente riscontrata in altri animali selvatici presenti negli stessi ambienti, ma certamente inferiore a quella dei più comuni e ubiquisti ratti di chiavica. Il presupposto serbatoio epidemico delle Nutrie quali vettori di forme microbiche d'importanza zoonotica è comunque risibile di fronte a quello provocato volontariamente con l'introduzione a fini cinegetici di Lepri , Silvilaghi e Cinghiali (dati diffusi annualmente dalla sezione europea della WDA - Wildlife Disease Association). Introduzioni fermamente volute dalle associazioni venatorie e patrocinate dalle Province e che si rivelano estremamente rischiose per la sopravvivenza dei Leporidi e Ungulati autoctoni, oltre che per gli allevamenti di conigli e suini. (ODV, 1997; Wildlife Disease Association, 1998; Scaravelli & Martignoni, 2000; IZP Brescia, 2000).
DANNI AI SISTEMI IDRAULICI E ALLE COLTIVAZIONI
Non è noto l'ammontare complessivo dei rimborsi che annualmente viene riconosciuto agli agricoltori per i danni climatici, altre calamità naturali, infestazioni. Si sa che sono molto onerosi - in termini monetari e d ambientali - i biocidi utilizzati nelle usuali metodiche colturali non eco compatibili. Si calcola che annualmente per rimborsare i danni provocati alle greggi da attacchi di lupi e cani vaganti vengano spesi in Italia circa 4 miliardi di lire; per i danni causati dalla presenza di cinghiali in aree con poco territorio boscato a loro disposizione la cifra raggiunge e probabilmente supera i 40 miliardi. Se i danni causati da eventi climatici sono accettati come parte del normale "rischio d'impresa" di questa attività, nessun agricoltore accetta la possibilità di danneggiamento ad opera di specie animali, autoctone o meno. Appare allora necessario riconoscere a livello assicurativo anche questi danni, come già avviene all'estero. Sino ad ora in ogni caso, non si hanno estimi corretti e realistici dei danni effettivamente arrecati alle diverse tipologie colturali dalla presenza delle nutrie. Le rivendicazioni degli agricoltori sovente non trovano riscontri sul campo, ed i danni per eventi meteorici o per cattiva gestione colturale sono spesso denunciati come causati da questi roditori, con finalità di recupero del danno economico (p.e. l'eccessivo numero di piantine di frumento coltivate per metro quadrato, determina una caduta delle piantine a terra con conseguente marcescenza delle stesse). Altri danni evidenziati riguardano soprattutto la regimazione delle acque ed il danneggiamento diretto o indiretto alle strutture irrigue. Si sono spesso incolpate le nutrie dell'instabilità delle sponde e degli alvei di tutti i tipi di corsi d'acqua. Colpe divenute addirittura straordinarie in corso di alluvioni: per tanti tecnici e cronisti il fenomeno presente lungo il Po dei fontanazzi, evidenziatosi durante le ultime disastrose piene, non è stato descritto, come invece è, un fenomeno fisico dovuto alla situazione pedologica e geologica del territorio in questione, ma all'effetto degli scavi e della diffusione di questi roditori! Le Nutrie non scavano tane profonde come il Tasso o i Conigli (che scelgono anch'essi gli alvei peri fluviali), al massimo le femmine si ricavano una nicchia profonda un paio di metri, dove partoriscono e si rifugiano con la prole. I continui scavi lungo le sponde dei corsi d'acqua dove se ne rileva la presenza sono motivati dal fatto che esse sono continuamente scacciate e costrette a scavarsi nuove nicchie. Infatti, le Nutrie non sono erratiche, solo i giovani che sopravvivono alle minacce già elencate cercano un nuovo territorio da colonizzare, ma anche sulla percentuale di sopravvivenza dei giovani nei nostri ambienti non si sa nulla. In questo caso può rivelarsi utile l'inserimento di manufatti di calcestruzzo all'interno delle sponde fluviali, lasciando un sufficiente strato di terra e vegetazione a copertura.
Appare comunque necessario sottolineare come la movimentazione enorme di animali fra Stati e Continenti determini la comparsa di un problema estremamente complesso dall'aspetto interdisciplinare, che spazia dalla Conservazione naturalistica, alla gestione dell'uso delle risorse, alla Filosofia morale, e che trova soluzione solo attraverso l'applicazione di interventi che prevengano la comparsa di elementi inaspettati in ambienti che presentano equilibri ecologici già evidentemente precari. La questione Nutria appare, più che altro, legata alla necessità di trovare prede cacciabili a buon mercato. Se la ragione è questa allora la questione non attiene alla salute pubblica o al miglioramento agricolturale, ma semmai rimane un problema ecologico legato non alla Nutria ma alla capacità del territorio e delle risorse biologiche residue di sostenere un'attività di caccia così pressante.
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